Capitolo uno


Attenzione, attenzione, parla il capitano Conger. La nave è sotto attacco, siamo assaliti dai pirati. Non è un’esercitazione, ripeto, non è un’esercitazione. Fate tutto il possibile per nascondervi, non mettetevi in pericolo, non rischiate. Le autorità sono state avvertite. Se avete accesso a una radio e potete usarla senza pericolo, usate la frequenza di emergenza per parlare a chiunque sia in ascolto, per chiedere aiuto. Conosciamo questa nave meglio di loro. Rintanatevi dove potete e se siate prudenti… pregate.


Elodie Winters, conosciuta dall’equipaggio dell’Asaka Express come Rachel Walters (o semplicemente come Chef) si stava già muovendo prima ancora che il capitano terminasse il suo annuncio agli altoparlanti. Tutto l’equipaggio era stato avvertito qualche giorno prima: stavano per entrare nelle acque pericolose del golfo di Aden, tra la Somalia e lo Yemen. Elodie era così preoccupata che andava a dormire vestita. Ma in fondo non credeva che fosse un vero e proprio pericolo.

La nave mercantile su cui lavorava era dotata di pompe d'acqua sul ponte principale, poteva sparare una quantità incredibile di acqua su chiunque fosse così fesso da cercare di abbordare la nave; erano passati anni dall'ultima volta che una nave così grande era stata dirottata dai pirati. Elodie non aveva capito se le pompe non avessero funzionato, non sapeva come avessero fatto i pirati a salire a bordo.

Eppure ce l’avevano fatta.

Il suo cuore batteva a mille all’ora mentre Elodie si muoveva vicino alla sua stanza, nei meandri della nave. Gli ingegneri e gli ufficiali superiori avevano cabine ai piani alti, mentre a lei non dispiaceva alloggiare nei ponti inferiori della nave. Le piaceva rimanere vicina alla sua cucina.

La prima volta che era salita a bordo, aveva scoperto con sorpresa che ognuno aveva una propria stanza… mentre lei si aspettava di essere costretta a condividere la cabina con qualcuno. Era pur vero che, a differenza delle navi da crociera, su questa nave mercantile c'erano solo ventidue persone di servizio, e non centinaia di persone, con migliaia di ospiti.

In teoria, Elodie conosceva il motivo per cui i pirati attaccavano le grandi navi che attraversavano il golfo di Aden, ma la realtà le sembrava impossibile da accettare. Aveva visto il film sul dirottamento della nave mercantile Maersk Alabama, era rimasta sorpresa della facilità con cui i pirati erano saliti a bordo. L’Asaka Express aveva all'incirca la stessa stazza della Maersk Alabama, ma il capitano Conger aveva rassicurato tutti che le misure di sicurezza poste in atto da quel dirottamento erano state molto migliorate.

Evidentemente c'era spazio per ulteriori miglioramenti.

Elodie si prese il tempo di indossare gli stivaletti che aveva di fianco al letto e di prendere la radio di emergenza. Tutti gli operatori a bordo ne avevano una. Con la radio poteva parlare col ponte di comando e collegarsi ad altre frequenze, in caso di necessità.

Afferrando la radio come uno strumento di salvezza, aprì rapidamente la porta e si lasciò scappare un gridolino di spavento, per poco andava a sbattere contro qualcuno nel corridoio.

“Venivo proprio ad assicurarmi che ti fossi svegliata,” le disse Manuel, con un tono di voce che lasciava intuire facilmente il suo terrore.

Elodie era lo chef di bordo. Aveva un assistente, il cuoco in seconda. Manuel dipendeva da lei, era responsabile dei dolci e del servizio al personale e agli ufficiali. Il resto del personale impiegato dall'azienda di trasporti era composto da ingegneri e ufficiali. Lei era l'unica donna a bordo; all'inizio aveva pensato che fosse un po' strano, ma tutti gli uomini la rispettavano e non le prestavano troppa attenzione.

C’era un ufficiale, Valentino, convinto che Elodie non aspettasse altro che di andare a letto con lui, ma quando lei aveva rifiutato educatamente, lui si era offeso; ora lei aveva imparato a evitarlo.

“Rachel?” chiese Manuel; Elodie fece un cenno con la testa, cercando di concentrarsi sulla tragedia incombente. “Cosa dobbiamo fare?”

“Dobbiamo mettere in pratica il nostro addestramento,” gli rispose Elodie. In quel momento rimpianse di non aver scelto un nome più simile al proprio, del resto non aveva avuto molta scelta: si era dovuta adattare alla finta identità dei documenti falsi che aveva comprato.

Il motivo per cui usava un nome falso era tutta un'altra storia. In quel momento doveva recarsi in un posto sicuro, la sua stanza senz'altro non lo era. Durante le sessioni di addestramento di sicurezza, gli istruttori avevano spiegato che i pirati molto probabilmente avrebbero fatto razzia nelle singole stanze in cerca di oggetti di valore e di denaro. L'ultima cosa che voleva era che la trovassero. Si sentiva piuttosto al sicuro tra gli uomini a bordo della nave, ma non aveva idea di cosa potessero farle i pirati, se avessero trovato una donna a bordo.

“Vai giù nella sala macchine,” disse Elodie a Manuel.

“E tu?” le chiese lui.

“Io vado in cambusa. Se necessario, posso infilarmi in un armadietto, per te invece è impossibile. Inoltre, tra i frigo delle verdure, i congelatori e le varie stanze isolate, ci sono molti posti dove nascondermi. Poi non sappiamo quanto durerà questa emergenza, se i pirati decidono di rimanere a lungo, vi servirà del cibo. Posso sempre usare il montavivande per mandare giù qualcosa da mangiare nella sala macchine, se serve. È più sicuro, ci evita di andare a zonzo per la nave con i pirati a bordo.”

“Ma se i pirati restano a bordo davvero a lungo, decideranno di venire anche quaggiù. Anche a loro serviranno acqua e cibo,” rispose Manuel, ragionevolmente.

Elodie sapeva che Manuel aveva ragione, ma il posto in cui si sentiva più sicura era comunque la sua cucina. Poi il capitano aveva detto che le autorità erano già state contattate. Anche se lei non sapeva con precisione chi avesse contattato il capitano, era certa che il dirottamento non sarebbe durato settimane.

“Per un po’ saranno comunque impegnati altrove,” disse Elodie al suo assistente.

Manuel sembrava quasi voler protestare, voler insistere perché lei lo seguisse, ma il suono di una porta che si chiudeva dalla rampa di scale vicina risuonò forte nel corridoio, così Manuel si guardò alle spalle con gli occhi pieni di terrore.

“Vai,” gli ordinò Elodie.

Lui si mosse senza più esitare, andò di corsa nella direzione opposta a quella da cui sembrava provenire il rumore. Elodie non aveva idea se i pirati stessero già scorrazzando per la nave, non sapeva quanti potessero essere, ma non aveva certo intenzione di rimanere lì impalata nel corridoio ad aspettare che la trovassero.

Di sicuro non era arrivata così lontano, fuggendo dai pericoli di New York City, solo per cadere preda di un pirata qualunque, proprio in quel momento. Sempre con la radio in pugno, si mise a correre verso la rampa di scale. La sala macchine si trovava quattro ponti più sotto, c'era un ingresso a quel livello, ma la cambusa si trovava solo due piani sopra la sua stanza. Doveva sbrigarsi.

“Manuel starà bene,” si disse a bassa voce. Aveva sempre avuto l'abitudine di parlare da sola, aveva cercato di perderla, senza riuscirci. Aveva passato gran parte della vita da sola, così aveva cominciato a parlare con se stessa per interrompere la monotonia.

“Walter ha tutto sotto controllo,” mormorò, mentre apriva con cautela la porta della rampa di scale. Il capitano aveva chiesto a tutti di chiamarlo per nome, anche se all'inizio le era sembrato un po' strano, ormai si era abituata. Aveva una cinquantina d'anni, i capelli bianchi, era sempre sorridente. Era una persona molto alla mano, trattava tutti col massimo rispetto. Anche lei lo rispettava e con lui al comando si sentiva del tutto sicura.

John e Troy le comparvero sulle scale, ma le passarono accanto di corsa degnandola appena di uno sguardo. Erano ingegneri, evidentemente si stavano dirigendo verso la sala macchine.

Elodie sentì il rumore di altri passi che si dirigevano ai ponti superiori, immaginò fossero gli ufficiali che salivano sul ponte di comando. Corse più forte che poteva verso il piano in cui si trovava la cambusa.

Quello che aveva detto a Manuel era vero, nella struttura delle cucine c'erano molti posti in cui poteva nascondersi. Ne aveva già scoperti parecchi, ma non perché avesse paura dei pirati.

Aveva paura di Paul Columbus.

Quel tipo aveva detto in più di un’occasione che l’unico modo per smettere di lavorare alle sue dipendenze era in una cassa di legno, e lei gli aveva creduto. Quando aveva accettato di lavorare per lui, diventando il suo chef personale, Elodie non sapeva che Paul era il capo di una delle famiglie mafiose più pericolose di New York. Si era solo entusiasmata per l'opportunità di uscire dai soliti impieghi nei ristoranti. Poi era stato difficile rifiutare quell’offerta economica.

All'inizio era completamente all'oscuro di come la famiglia Columbus guadagnasse milioni. Era felice di occuparsi della cucina, si faceva i fatti suoi, creava dei pasti deliziosi per Paul e per gli ospiti che gli facevano visita di frequente. Ma aveva finito per intuire che l'uomo per cui lavorava era malvagio oltre ogni aspettativa. Non gli importava di far del male a chiunque, pur di continuare a produrre guadagni illeciti.

Tutto ciò che la circondava in quella casa era stato comprato con denaro sporco, anche il cibo che lei preparava con tanta soddisfazione.

Elodie sapeva di non avere il tempo per ricordare tutti gli errori che aveva commesso nella vita, con quel pensiero entrò nella sala della mensa ufficiali. Tutti i locali di quella parte della nave erano collegati come in un'unica linea orizzontale. Prima c'era la mensa ufficiali, poi la dispensa degli ufficiali, la cambusa, la dispensa dell’equipaggio, infine la mensa dell’equipaggio. Nella cambusa, c'era una porta che collegava al corridoio in cui si trovavano gli ambienti in cui si conservava il cibo. C'era un congelatore generale, un freezer per il pesce, tre frigoriferi e varie dispense per gli ingredienti a temperatura ambiente.

Lei aveva già esplorato tutti i locali in cui si poteva nascondere, sapeva come raggiungere gli ascensori e le scale senza farsi sentire, in caso di necessità. Nella sala macchine, non avrebbe avuto la minima idea di dove nascondersi, un altro motivo per cui aveva deciso di rifugiarsi nella zona delle cucine. Era il suo ambiente, dove si trovava a proprio agio. Sapeva bene che, se i pirati decidevano di rimanere per tanto tempo, sarebbero di sicuro venuti anche in cambusa, come aveva detto Manuel. Era senz'altro un pericolo in più per lei, ma avrebbe fatto tutto il possibile per mantenere i suoi spostamenti all'interno della cambusa estremamente brevi.

Tenendo la radio in una tasca grande dei suoi pantaloni da lavoro modello cargo, Elodie si mosse più veloce che poté. Spostò tre pacchi di bottiglie d'acqua nella zona principale della cucina, in modo che fossero facilmente visibili. Poi prese varie confezioni di cracker, alcune forme di pane, delle confezioni di patatine, mettendo tutto strategicamente in giro per la cambusa e nelle dispense. Di solito, il cibo veniva tenuto in dispensa dentro armadi chiusi, con le scatole ben fissate per evitare che le lattine cominciassero a volare a destra e a manca, con il mare mosso, ma lei voleva che i pirati avessero accesso facilmente a quegli alimenti, senza però dare l'impressione che qualcosa fosse stato lasciato apposta a loro disposizione. Sperava che i pirati pensassero di aver avuto molta fortuna nel trovare facilmente il cibo, senza curarsi di ispezionare troppo a fondo.

Elodie si passò un braccio sulla fronte. Era sudata, odiava non sapere cosa stesse succedendo più in alto, sul ponte principale. I pirati erano saliti a bordo? Erano riusciti a entrare nel ponte di comando? Stavano facendo del male al capitano o agli altri ufficiali?

Ma soprattutto, cosa volevano?

La radio che si era infilata nei pantaloni cominciò a fare rumore, spaventando Elodie a morte.

“Porca vacca!” esclamò, mettendosi una mano sul cuore che batteva all’impazzata, mentre con l’altra tirava fuori la radio. Sentì delle voci confuse, con un pesante accento straniero, erano degli uomini che urlavano, mentre Walter cercava di calmarli.

Confusa su quanto stava sentendo, Elodie rimase immobile in mezzo alla cambusa, cercando di decifrare quelle comunicazioni caotiche per capire cosa stava succedendo. Le servì poco più di un minuto per capire infine che qualcuno sul ponte di comando aveva attivato la radio e stava trasmettendo tutto ciò che avveniva alle altre persone a bordo.

Sentì un brivido alla spina dorsale, mentre ascoltava Walter che si impegnava per calmare i pirati. Era difficile capire quanti ce ne fossero, ma sembravano ben più di una manciata. Sentì lo stomaco che si stringeva dalla paura. Più erano i pirati, più facile sarebbe stato per loro prendere il controllo della nave, qualcuno poteva rimanere sul ponte di comando con il capitano e con gli ufficiali, mentre gli altri potevano andare a ispezionare i vari ponti, cercando gli altri del personale e tutti i valori che potevano rubare. L'ultima cosa che Elodie poteva permettersi era essere tenuta prigioniera per un riscatto. La sua faccia sarebbe finita su tutti i giornali… così Paul Columbus avrebbe sfruttato le sue conoscenze mafiose, soldati e associati, per trovarla.

“Dov’è la cassaforte?” chiese ad alta voce uno dei pirati.

“Non è qui. È più giù, in una delle stanze di navigazione,” gli rispose Walter.

“Potete prendere tutti i soldi che abbiamo, poi andatevene via,” proseguì Walter.

“No via,” disse secco un altro uomo. “Portate la nave dove diciamo noi. I nostri uomini salgono. Aprite i container.”

“Quella… non è la cassaforte,” ribatté Walter.

“Frega niente. Apriamo. Voi guidate!” urlò quell’uomo.

Poi Elodie sentì dei tafferugli e delle altre urla. Si sentì un colpo di arma da fuoco, Elodie trattenne il fiato, in attesa di sentire se qualcuno fosse rimasto ferito.

“Basta! Va bene, va bene! Apriremo tutti i container che volete, ma smettete di spararci addosso!” urlò Walter disperato.

I pirati scoppiarono in una sonora risata.

“Spariamo quando e come vogliamo. Spareremo anche a te, se non ci dai quello che vogliamo. Niente ostaggi, prendere i soldi è troppo difficile. Ma se non fate come diciamo, uccidiamo,” disse uno dei pirati.

“Non potete sparare a Walter,” sussurrò Elodie, “ci serve per portare avanti questa dannata baracca.”

Quasi come se l'avesse sentita, il capitano disse: “Se uccidete me e i miei ufficiali, questa nave finirà per incagliarsi. Lo stretto di Bab el-Mandeb è terribilmente difficile da attraversare.”

“Io sono un pescatore, so portare una nave,” rispose uno dei pirati, senza alcuna preoccupazione.

Elodie sbuffò. Governare una nave grande e pesante come quella era tutt'altra cosa rispetto a governare un peschereccio, imbarcazione a cui molto probabilmente i pirati erano abituati.

“Sappiamo che ci sono delle altre persone a bordo,” intervenne qualcun altro. “Se non fate come diciamo, cominceremo a trovare e uccidere tutti loro.”

“Non c’è bisogno di far del male a nessuno,” intervenne subito Walter. “Faremo come volete, però non fate del male ai miei uomini.”

Si sentirono altri tafferugli, poi i pirati cominciarono a parlare tra loro in una lingua che Elodie non riusciva a capire.

La situazione stava sfuggendo di mano, lei era terrorizzata. Ma Walter aveva detto di aver già contattato le autorità. Qualcuno sarebbe arrivato presto ad aiutarli, vero? La marina degli Stati Uniti non aveva delle navi, in quell'angolo del mondo? Come i pirati potessero abbordare e rubare una nave commerciale enorme come quella era davvero imperscrutabile.

Elodie decise che la cosa migliore da fare per il momento era rimanere nascosta, quindi uscì dalla cambusa ed entrò in una dispensa. In fondo a quella stanza c'era un armadio in cui sapeva di poter entrare. Si strinse in quello spazio angusto, spostando degli enormi sacchi di patate e di altre provviste, mettendoseli davanti. Non sarebbe riuscita a ingannare qualcuno che cercava delle persone nascoste, ma pensò potesse bastare per ingannare qualcuno che avesse aperto solo per dare un’occhiata all’interno.

Elodie tenne la radio sulle ginocchia, fissandola. Non riusciva a vedere bene al buio, ma le lucine dell'apparecchio radio la tranquillizzavano. Cominciò a memorizzare ciò che sentiva, non era sicura che potesse servire a qualcosa, ma magari così sarebbe riuscita a ricostruire gli eventi, dopo il salvataggio.

Non amava i drammi, in fin dei conti era solo una cuoca. Come poteva una persona crearsi così tanti problemi nella vita? Paul Columbus si era già ripromesso di ucciderla, perché si era rifiutata di stare al suo gioco, adesso si nascondeva dai pirati, in alto mare.

Eppure aveva sempre desiderato una vita tranquilla, magari con un uomo che l'avrebbe sposata, con uno, magari due figli, mantenendosi cucinando. Ora aveva trentacinque anni, chissà come, a un certo punto il suo ideale di vita tranquilla era andato gradualmente a farsi benedire.

Quel lavoro su una nave commerciale le era sembrato una benedizione. Poteva andarsene all’estero, via da Columbus e dalla sua gang, evitando di essere eliminata. Quale soluzione migliore dell’isolamento su una nave, nel bel mezzo dell’oceano? Sarebbe stata perfettamente al sicuro.

“Sì, certo, perfettamente al sicuro,” mormorò, chiudendo gli occhi e appoggiando una tempia alla parete dell’armadio. Doveva credere che tutta quella faccenda sarebbe finita presto. Walter avrebbe eseguito gli ordini di quegli uomini, i quali stavano per rubare tutti gli oggetti di valore trovati nei container che sarebbero riusciti a raggiungere e ad aprire, poi se ne sarebbero andati. Sarebbero tornati da dove erano venuti, così lei e gli altri dell’equipaggio sarebbero andati avanti con la loro vita, sani e salvi.

Ottimo. Almeno così andavano le cose nei film di Hollywood, ma quella non era la vita reale. Da come sembravano andare le cose in quel momento, probabilmente sarebbe finita ostaggio e l’avrebbero costretta a sposare un qualche capo tribù in Africa.

* * *

Scott “Mustang” Webber lanciò un’occhiata alla sua squadra di SEAL. Midas, Aleck, Pid, Jag e Slate erano totalmente concentrati sui documenti che avevano davanti. Erano appena stati in missione in Pakistan ed erano stati avvertiti di un cambio di programma. Li avevano tirati fuori dal deserto per farli volare in elicottero sulla USS Paul Hamilton, un incrociatore lanciamissili in quel momento impegnato in esercitazioni navali congiunte nel mar Arabico. Nella zona erano presenti anche molte altre navi:USS Lewis B. Puller, USS Firebolt, USCGC Wrangell e USCGC Maui. La sua squadra era arrivata a bordo e si era trovata subito in una sala riunioni, dove l’ammiraglio al comando li aveva convocati per accelerare la missione in corso.

Sembrava che una nave mercantile di medie dimensioni fosse stata abbordata dai pirati nel golfo di Aden. Il capitano aveva lanciato un segnale di allarme, dicendo che la nave era sotto attacco, i pirati si stavano avvicinando pericolosamente in numero imprecisato, serviva un intervento il prima possibile. Da allora non c’erano state altre comunicazioni, né col capitano né con i pirati.

La USS Paul Hamilton, insieme alle altre navi, si stava dirigendo proprio in quella zona, ma in quel momento non avevano alcuna informazione su cui costruire un piano.

Mustang si ricordava dell’incidente alla Maersk Alabama, in cui i tiratori scelti della marina avevano eliminato i pirati che avevano preso in ostaggio il capitano, costringendolo a seguirli in una scialuppa di salvataggio della nave mercantile. Mustang e gli altri della squadra non erano tiratori scelti, anzi, francamente odiavano i salvataggi come quello, in cui dovevano muoversi in ambienti tanto ristretti, come una scialuppa di salvataggio. Lui preferiva senz'altro intervenire sulla nave mercantile, su cui c'era un sacco di spazio per nascondersi e per eliminare i pirati a uno a uno.

“In che direzione stanno andando?” chiese Midas.

“In questo momento sembra che stiano seguendo la rotta prevista,” rispose l’ammiraglio. “Verso ovest, in direzione di Gibuti. Dovrebbero virare verso nord e proseguire per lo stretto di Bab el-Mandeb Strait, attraccando a Port Sudan.”

“Uno stretto piuttosto complicato da attraversare,” osservò Aleck.

“Proprio così,” commentò l’ammiraglio.

“Abbiamo qualche indizio sulla nazionalità dei pirati? Conosciamo il loro piano?” chiese Pid.

“Purtroppo no, almeno per ora. Abbiamo cercato ripetutamente di contattarli, di trovare qualcuno con cui parlare, ma i casi sono due, o le loro linee di comunicazione sono spente, oppure ci ignorano deliberatamente.”

“Merda!” Jag imprecò sottovoce.

Mustang era d’accordo. Senza alcuna informazione era quasi impossibile preparare un piano.

Quasi.

“Allora che si fa, andiamo alla cieca?” domandò Slate.

Mustang non poté trattenere un sorriso. Slate  era sempre il primo a offrirsi volontario per una missione pericolosa. Voleva sempre mettersi al centro della scena, per così dire.

“A meno che non riusciamo a parlare con qualcuno… sì,” rispose Mustang, prima ancora che l’ammiraglio potesse intervenire.

Era stata una fortuna che si trovassero già nella zona e che potessero essere tolti dalla missione precedente. La squadra era già intervenuta in passato su altre navi mercantili, sapevano tutti che erano imbarcazioni piene di corridoi, di nicchie e di anfratti. Per quanto fosse detestabile che l’equipaggio a bordo della Asaka Express fosse spaventato a morte, Mustang non vedeva l’ora di affrontare, isolare ed eliminare i pirati uno a uno.

“Scusi se la interrompo, signore,” intervenne un tenente, facendo capolino dalla porta.

“Che c’è?” rispose l’ammiraglio.

“Ci è arrivata una comunicazione dalla Asaka Express.”

“Grazie al cazzo,” commentò Midas.

“La potete collegare direttamente?” chiese l’ammiraglio.

“Sissignore, solo un momento.” Il tenente sparì dietro l’uscio.

Mustang e gli altri della sua squadra attendevano con impazienza che venisse completato il collegamento con la nave mercantile. Quando infine la complicata radio in mezzo al tavolo cominciò a funzionare, Mustang sgranò gli occhi nel sentire la voce che proveniva dalla nave.

“Pronto? C’è nessuno?”

“Sì, signora, siamo collegati. La prego dica all’ammiraglio quel che mi ha appena detto.”

“Sì, va bene. Mi trovo sull’Asaka Express e ci sono dei pirati a bordo. Abbiamo bisogno di aiuto.”  La voce di quella donna tremava, ovviamente era spaventata, ma riusciva comunque a mantenere il controllo.

“Sono l’ammiraglio Light, al comando della USS Paul Hamilton. Ci stiamo dirigendo verso di voi. Come si chiama?”

“El… ehm, Rachel Walters.”

Mustang guardò Jag, che a quella risposta aveva inarcato un sopracciglio. Non era normale balbettare e sbagliare il proprio nome. Anche in situazioni estremamente tese come quella in cui si trovava la signora Walters.

“Qual è il suo ruolo a bordo?”

“Il mio lavoro? Sono la cuoca.”

Non era così insolito che a bordo di grandi navi mercantili che navigavano costantemente nelle acque del Medio Oriente ci fossero anche delle donne, ma era comunque una circostanza ancora rara e interessante.

“Cosa può dirci della situazione?” domandò l’ammiraglio Light.

“Sì, dunque, beh, posso solo dirvi quello che ho sentito. Io…”

“Cosa vuol dire, quello che ha sentito?” domandò Mustang interrompendola.

“Ah, eh… ci sono altre persone oltre all’ammiraglio?” chiese lei.

“Sì,” rispose Mustang. “Sono qui con la mia squadra di SEAL, stiamo per intervenire in vostro soccorso, ma ci serve il maggior numero di informazioni possibile, tutto quello che ci può dire è utile, prima del nostro intervento. Quanti pirati ci sono a bordo?”

“Il fatto è questo,” disse Rachel. “Io non ho visto ancora nessuno. Parlano con un accento molto marcato, è difficile per me capire cosa dicono. Walter… cioè il capitano Conger ha detto a tutte le persone a bordo di nascondersi, Ed è proprio quello che ho fatto. Mi trovo nella cambusa… insomma, non proprio nella cambusa, in una delle dispense vicine. Ho con me un apparecchio radio, uno degli ufficiali deve aver acceso la radio sul ponte di comando, perché si sente tutto ciò che succede. Sento tutto quello che dicono, ma è molto difficile capire. Poi non posso vedere cosa succede.”

“Quante persone lavorano a bordo della nave?” chiese Aleck.

“Ventidue, me compresa,” rispose Rachel senza esitare.

“Su che canale sta ascoltando le comunicazioni dal ponte della nave?” chiese Pid.

“Canale dieci.”

“Su che canale sta trasmettendo adesso?” domandò Pid.

“Eh… sul cinque, credo. Stavo solo provando tutti i canali per vedere se qualcuno poteva sentirmi, quando voi avete risposto.”

Pid afferrò il suo zaino dal pavimento e cominciò a frugare. Era l'esperto di elettronica della squadra, Mustang sapeva che avrebbe cercato di intercettare la frequenza radio che Rachel aveva usato per ascoltare lui stesso cosa stava succedendo sul ponte di comando dell’Asaka Express.

“Secondo il suo intuito, quante persone pensa siano salite a bordo della nave?” chiese l’ammiraglio.

Mustang sentì Rachel che sospirava. “Non lo so,” rispose lei. “Stavamo  tutti dormendo quando è successo, mi sono svegliata con l'annuncio del capitano, che ci stava comunicando la notizia dell’abbordaggio. Ma penso siano più di una manciata. Prima stavano parlando di fare ricerche sulla nave, non credo che lo farebbero se fossero solo in tre o in quattro, ma non sono un'esperta di pirateria navale, quindi non sono sicura. Vogliono dei soldi e vogliono che il capitano apra i container. Hanno detto anche qualcosa riguardo all'arrivo di altri uomini a bordo, una volta arrivati da qualche parte, hanno detto che non volevano ostaggi.”

Il fatto che non volessero ostaggi poteva essere un indicatore positivo o negativo.  Poteva significare che i pirati volevano solo denaro e oggetti di valore. Dopo l’incidente della Maersk Alabama, in cui il capo dei pirati era stato catturato e trasferito negli Stati Uniti, per essere chiuso in prigione, mentre i suoi compagni erano stati uccisi, il numero di rapimenti da parte di pirati era notevolmente calato. Però, non volere ostaggi poteva anche significare che la vita di ogni persona a bordo della nave era in pericolo. Era più facile sparare per uccidere tutti che non cercare di tenere a bada una ventina di persone.

Mustang non voleva nemmeno immaginare cosa potessero fare a una donna, se l'avessero trovata a bordo.

“Oh cazzo… ho sentito qualcosa!” disse Rachel.

“Stia zitta, abbassi il volume della radio, ma non si scolleghi,” ordinò Mustang.

“Sì, va bene… posso chiedere come si chiama? È solo che… così mi sembra più diretto.”

“Mi chiamo Mustang,” le rispose. “Qua c’è tutta la mia squadra: Midas, Aleck, Pid, Jag e Slate.”

Passò qualche secondo di silenzio, poi si sentì il leggero rumore di un respiro. “Dovevo chiedere,” mormorò.

Mustang non ci aveva pensato due volte e aveva subito condiviso i soprannomi dei suoi compagni di squadra, dimenticandosi quanto potessero sembrare strani a una persona non avvezza all’ambiente militare. “Scott,” proseguì tranquillamente. “Mi chiamo Scott.”

“Scott. Va bene,” sussurrò lei, per poi inspirare bruscamente, quando dal collegamento si sentì un colpo forte.

Tutti sei i SEAL si avvicinarono alla radio al centro del tavolo, come se così potessero in qualche modo tenere al sicuro la donna che si trovava dall'altra parte della radio, proteggendola da ciò che le stava succedendo. Anche l’ammiraglio Light si sedette sulla sua poltroncina, molto teso, ad ascoltare.

Sentirono tutti delle voci sempre più forti sullo sfondo. Mustang chiuse gli occhi cercando di capire che lingua parlassero i pirati. Non era un esperto di lingue, gli sembrava un misto di arabo e francese.

“Smettetela di spingermi!” Si sentì una voce maschile che parlava inglese.

Il respiro di Rachel si fece più sonoro e veloce. Mustang voleva darle conforto, dirle di rallentare la sua respirazione prima di svenire, ma non osò dire una parola, per paura di svelare il suo nascondiglio.

“Qua non c’è nessuno,” disse l’uomo che parlava inglese.

“Chi non si fa vedere lo rimpiangerà,” disse un altro uomo, chiaramente uno dei pirati, a giudicare dall'accento.

“Dove troviamo qualcos’altro da mangiare?” chiese un altro uomo.

“Ci sono dei congelatori in questo corridoio,” disse il membro dell’equipaggio. “Ci sono altre scorte, ma per essere sicuri di trovare qualcosa da mangiare subito, senza dover cucinare, bisogna andare nelle dispense, dall'altra parte della cambusa. Nella cambusa ci sono diversi spuntini e molte altre cose da mangiare. Qua ci sono soprattutto farina, zucchero, cose così. Sono gli ingredienti che utilizza il cuoco per preparare da mangiare.”

“Facci vedere la dispensa. E niente scherzi.”

“Va bene,” disse l’ufficiale. “Faccio solo quello che mi dite.”

“Torniamo dopo per l’acqua e il mangiare,” disse uno dei pirati. “Adesso cerchiamo i soldi.”

Tutte le persone presenti nella sala riunioni si sforzavano di ascoltare bene il rumore dei passi che si allontanavano, cercando di capire se veniva detto qualcos'altro, ma sentirono solo il respiro di Rachel, terrorizzata.

“Va tutto bene,” disse sottovoce Mustang, dopo un lungo momento di attesa, non riuscendo più a stare in silenzio. “Non ti hanno trovata.”

“Lo so,” rispose lei sussurrando, così a bassa voce che tutti fecero fatica a sentirla.

“Chi era quello?” domandò Midas.

“Penso fosse Bryce… è uno degli ufficiali, lavora con il capitano sul ponte di comando.”

Mustang vide che l'ammiraglio si appuntava quel nome, anche se sicuramente qualcuno stava già recuperando l'elenco dei membri dell'equipaggio a bordo dell’Asaka Express.

“Aveva mai sentito uno di quei pirati, prima?” chiese Aleck.

“Non lo so. Mi dispiace. Oddio, vorrei tanto essere più brava,” si lamentò.

“Sta andando bene,” la rassicurò Mustang.

“Non lo so. Finora non vi ho detto nulla che non sapeste già,” rispose lei.

“Dopo la prima chiamata con la richiesta di soccorso, questa è la prima comunicazione che riceviamo dalla nave,” le spiegò Mustang.

“Davvero?” chiese Rachel. “Che strano. Cioè, siamo tutti addestrati per utilizzare le radio, per chiedere soccorso.”

“Gli altri sono in sala macchine o sono nascosti altrove, nella nave?” domandò Pid.

“Probabilmente un po’ dappertutto, ma immagino che molti siano in sala macchine. È un ambiente rumoroso, dove è facile nascondersi. Il rumore dei motori può nascondere facilmente un colpo di tosse o un altro movimento,” spiegò Rachel.

“Però è una zona più bassa della nave, circondata di metallo, da cui è più difficile lanciare dei segnali radio, specialmente da un apparecchio portatile,” commentò Pid.

“Immagino sia così,” reagì Rachel.

“Perché lei non è in sala macchine?” Mustang non riuscì a trattenere quella domanda.

“Perché io sono la cuoca,” gli rispose Rachel, come se quella risposta spiegasse tutto.

“E allora?” chiese Slate.

“Dipende da quanto tempo rimarranno i pirati, ma tutti avranno bisogno di acqua e di viveri.”

Mustang scosse la testa. Era impressionato dalla dedizione di Rachel per il suo lavoro, anche se così si metteva in pericolo. A nessuno era venuto in mente che, dopo il capitano, Rachel era probabilmente la persona più vulnerabile su quella nave. I pirati potevano usarla per costringere gli altri membri dell'equipaggio a obbedire ai loro ordini.

Non voleva nemmeno immaginare a quali altri rischi si stava esponendo, poteva essere sfruttata e molestata.

“Ci sono,” disse Pid con entusiasmo, annuendo alla radio che aveva davanti.

“Di già?” chiese l’ammiraglio.

“Vuol dire, come mai ci hai messo così tanto?” Aleck corresse il tiro con una risata.

“Ci sono?” chiese Rachel.

“Ho intercettato la frequenza radio di bordo. Ora stiamo ascoltando il canale dieci.”

“Davvero? Ottimo, bene,” commentò Rachel. “Allora… significa che state comunque arrivando?”

“Sì,” le rispose Mustang. Avrebbe tanto voluto dirle che sarebbero arrivati presto, ma purtroppo la marina non si muoveva mai così alla svelta. Dovevano preparare un piano, attrezzare il gommone Zodiac per l’arrembaggio, e soprattutto aspettare il favore della notte… che era ancora troppo lontana.

“Il canale dell’equipaggio è il tre,” disse Rachel. “Quando siete arrivati e avete ucciso tutti i pirati, potete avvertirci che la nave è sicura su quel canale.”

“Che sete di sangue, non vi sembra?” commentò sottovoce Jag. “Mi piace.”

“Grazie per avercelo detto,” rispose Mustang, ignorando il commento del suo compagno. Lui non era così sorpreso; per lavorare su una nave mercantile bisognava essere piuttosto scafati e pronti a tutto. Si immaginava il tipico cuoco di una nave… una donna di mezza età, alta e sovrappeso, con indosso un grembiule macchiato, una donna tutta tatuata, capelli corti e caratteraccio.

Poi si sentì un cretino anche solo per aver pensato a quale poteva essere il suo aspetto esteriore. In fondo non aveva la minima importanza. Poi, dal suono della sua voce, si immaginava che avesse probabilmente all'incirca la sua stessa età, sui trentacinque, forse un po' meno. Inoltre non dava l’impressione di avere un caratteraccio. Si stava impegnando a rimanere calma per comunicare tutte le informazioni che poteva. “Lei rimanga ben nascosta a prescindere, va bene?”

“Va bene, ma… Scott?”

Sentirsi chiamare per nome gli sembrò un po' strano. Era passato molto tempo da quando qualcuno l'aveva chiamato così, ma Mustang rispose: “Sì?”

“Cosa faccio se minacciano di uccidere qualcuno degli ufficiali, se ci chiedono di uscire, cosa facciamo?”

“Cazzo,” commentò Slate sottovoce.

“Rimanete dove siete,” disse fermamente l’ammiraglio. “In nessun caso dovrete mettervi in pericolo, nessuno di voi.”

“Non sono sicura di potermene rimanere qui ferma ad ascoltarli, mentre uccidono gli uomini con cui ho fatto amicizia,” rispose Rachel.

“Vorrei poter avere una risposta migliore,” le disse Mustang. “Vorrei poterle dire che i pirati non andranno fino in fondo, che non uccideranno davvero nessuno. Vorrei poter dire che, se lei o qualcun altro salirà sul ponte di comando, smetteranno di minacciare, ma non c’è modo di predire cosa faranno realmente quegli uomini.”

“E poi io sono una donna,” sussurrò Rachel.

“E lei è una donna,” ripeté Mustang. “Stiamo arrivando,” cercò di rassicurarla.

“Non so come abbiano fatto i pirati a salire a bordo,” disse Rachel, “ma c’è una falla a prua della nave. Non proprio un foro, sembra più… un’apertura. Cavolo, non so come si dica tecnicamente. Ci passano le catene e altre cose, senza doverle mettere sulle ringhiere. Quando abbiamo fatto il giro della nave, Walter ha scherzato dicendo che era abbastanza grande perché qualcuno ci passasse. Il ponte di comando si trova a poppa della nave, i container sono messi uno sopra l’altro in pile molto alte, così nessuno potrebbe vedere se qualcuno sale da quell’apertura.”

Mustang vide i suoi compagni di squadra che sorridevano. Non si stavano prendendo gioco di lei, anche se quella donna era spaventata, stava chiaramente facendo del suo meglio per cercare di aiutare, un impegno molto apprezzato. Ma era ovvio che Rachel non aveva pensato fino in fondo alla logica di quanto stava suggerendo. Salire a bordo di una nave in movimento proprio dalla prua era pericolosissimo, e poi sul ponte di prua non c'era modo di nascondersi.

“Grazie per il suggerimento,” le disse diplomaticamente Midas.

“Non c’è di che.”

“Rimanga su questa frequenza,” le disse Pid, “così potremo continuare a comunicare.”

“Ma così non potrò sentire cosa succede a Walter e agli altri sul ponte di comando,” rispose Rachel.

Mustang annuì al suo compagno. Era un’ottima osservazione. Se la situazione si faceva disperata, nessuno voleva che lei ne fosse testimone. “Ma noi sì,” le rispose.

“Ah, giusto, mi ero dimenticata. Va bene. Per caso potreste… no, non importa.”

“Cosa?” le chiese Mustang.

“Era un’idea stupida.”

“Ma cosa?” le chiese con più insistenza.

“Volevo solo chiedervi se potete collegarvi ogni tanto per farmi sapere che ci siete, che state arrivando per aiutarci. Sono terrorizzata, almeno se so che qualcuno sta arrivando mi sento molto meglio.”

“Sì,” rispose Mustang. “Rimarremo in contatto costante, perché dobbiamo sapere anche cosa sta succedendo nei ponti inferiori, dove si trova lei.” Era vero solo in parte. Dato che Pid era riuscito a intercettare il canale che uno degli ufficiali aveva aperto, per trasmettere dal ponte di comando, avevano una linea diretta con la stanza più importante della nave. Ma non sarebbe bastato, qualora i pirati si dividessero.

“Va bene. Grazie per essere intervenuti. Fate attenzione. Questi tipi sembrano davvero… incazzati.”

Chissà quand’era stata l’ultima volta che qualcuno aveva detto loro, una famigerata squadra di SEAL della marina, di fare attenzione? Probabilmente mai? “Faremo attenzione,” le rispose Mustang. “Ora cerchi di stare calma, faccia attenzione anche lei.”

“Cercherò.” Ci fu una leggera pausa, poi Rachel chiese: “È adesso? Ci diciamo ‘passo e chiudo’ o qualcos'altro?”

Midas trattenne una risata sommessa.

“Non c’è bisogno. Ci teniamo in contatto,” le rispose Mustang.

“Ottimo. Va bene. Allora… insomma, a dopo.”

Mustang scosse la testa. Cavoli, che persona adorabile. Era del tutto incasinato, stava ancora pensando a quella donna, nel bel mezzo di una dannata operazione.

Poi però non ebbe più molto tempo di pensare a Rachel Walters, perché Pid alzò il volume del canale radio che aveva intercettato, le trasmissioni provenienti dal ponte di comando. Dovevano raccogliere informazioni, approntare un piano, salvare una nave con oltre venti persone a bordo.

Trovare Elodie

New York Times Bestselling Author

Il lavoro da sogno di Elodie Winters, famosa chef privata di una potente famiglia di New York, diventa rapidamente un incubo quando il datore di lavoro si rivela essere il capo di una famigerata famiglia mafiosa. Elodie adesso è in fuga, pensa finalmente di essere al sicuro, nel bel mezzo del mar Arabico, cuoca sulla nave mercantile Asaka Express. Quando la nave viene assalita dai pirati, Elodie non riesce a credere alla sua sfortuna… ma la sua vita sta per affrontare una svolta per il meglio.

Scott “Mustang” Webber è in viaggio per la sua prossima missione insieme al resto della sua squadra di SEAL, per impedire un atto di pirateria in Medio Oriente. Sono tutti sorpresi, perché la prima persona a chiedere aiuto via radio è una donna. Presto Scott si accorge che “Rachel Walters” nasconde qualcosa e si offre di aiutarla. Sarà sia colpito che compiaciuto, quando lei lo cercherà fino alle Hawaii, mesi dopo. Su quella nave mercantile, Scott aveva provato un feeling speciale con lei… un rapporto che è ansioso di approfondire.

Tenere Elodie al sicuro alle Hawaii si rivela un incarico facile… finché le cose non cambiano. Le lunghe giornate in quel paradiso possono davvero gratificare. Adesso Mustang lavora contro tutto e contro il tempo per portare a termine la missione più importante della sua vita: trovare Elodie.

** Trovare Elodie racconta una storia autonoma e conclusiva. È il libro 1 della serie Forze Speciali alle Hawaii, ma può essere letto piacevolmente anche da solo.